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ComunicazioniPubblicato il 26 settembre 2025

Tra mito e realtà: uno sguardo nel cuore delle forze speciali svizzere

Nell’immaginario comune le forze speciali evocano un’aura di miti, azione cinematografica ed élite misteriosa. Ma chi sono davvero gli uomini e le donne che prestano servizio nel comando forze speciali (CFS) dell’Esercito svizzero? Nel podcast del col SMG Mathias Müller, il col SMG Daniel Stoll, comandante del CFS, ne offre una visione privilegiata e si dimostra ufficiale riflessivo e perspicace, capace di demistificare il mito senza comprometterne il fascino.

Testo: Comunicazione Difesa, Mathias Müller

«In fin dei conti, svolgiamo un lavoro militare al pari di tutte le altre formazioni, semplicemente con un compito specifico», spiega con modestia Stoll. Eppure è risaputo: il compito proviene direttamente dal Comando dell’esercito o addirittura dai vertici politici. Questo fa delle forze speciali uno strumento che può essere impiegato con la massima precisione nel momento decisivo.

Obiettivo: efficacia strategica

Stoll evidenzia che le scene dei film - calate in corda doppia, sparatorie, lanci con il paracadute - rappresentano solo una parte della realtà. «Il vero lavoro è la pianificazione, l’istruzione e la condotta dell’impiego. Questa parte è meno presente nei film», puntualizza Stoll. Le sue parole, sebbene disincantate, danno un peso diverso all’unità: non si tratta di pose eroiche, ma di efficacia strategica.

Militari di professione e componente di milizia fianco a fianco

Il comandante chiarisce che le forze speciali in Svizzera non sono un esercito formato puramente da militari di professione. Infatti oltre 3000 militari del CFS provengono dalla componente di milizia. Si allenano in caso di difesa, mentre una componente di professione più esigua si occupa della gestione quotidiana delle crisi. Questo sistema duale rende le forze speciali svizzere quasi uniche al mondo e sta suscitando interesse anche all’estero. «La componente di milizia apporta un proprio contributo: è incredibilmente adattabile e sempre aggiornata grazie alla sua vita civile», rivela Stoll.

Per parte sua, il colonnello non si descrive come «stoico», ma piuttosto come flessibile. Eppure le esperienze delle dure procedure di selezione e degli impieghi lo hanno temprato. «In ultima analisi è la testa a fare la differenza. Bisogna essere in grado di ingranare la marcia successiva e continuare, anche quando il corpo non ne può più». Questo atteggiamento non è utile solo in ambito militare, ma in tutta la vita.

Piccoli team, grande efficacia

Il podcast dipinge un quadro delle forze speciali nel connubio tra mimetizzazione e trasparenza, tra silenzio e responsabilità. Non sono né guerrieri ombra né eroi d’azione, ma soldati altamente qualificati che possono avere un impatto enorme in piccoli team. La tradizione risale ai granatieri della Seconda guerra mondiale, ispirati dalla guerra d’inverno finlandese.

Le forze speciali come parte dell’insieme

Eppure il loro fascino non è tramontato . Stoll non risulta mai vanaglorioso, ma piuttosto tranquillo e convincente. Dimostra che la forza non sta nella rumorosità, ma nella disciplina, nell’intelligenza e nella compostezza. «Cerchiamo di dare il nostro piccolo contributo in tutto lo spettro dell’esercito - affinché nel suo complesso esso possa fare il suo lavoro per la sicurezza del Paese e della sua popolazione», asserisce Stoll. Al termine dell’intervista, si ha la sensazione di aver dato un raro sguardo dietro le quinte. Molto rimane segreto, come dev’essere. Una cosa è però chiara: le forze speciali svizzere non sono tanto un mito quanto una realtà, e proprio per questo sono ancora più affascinanti.

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