Esperienze preziose nei processi di pianificazione internazionale
Il tenente colonnello SMG Giovanni Ciarulli ricopre la funzione di Chief Tactical Effect Center (C TEC) del 47° contingente SWISSCOY nel Camp Bondsteel in Kosovo. L’ufficiale di professione lavora in un contesto internazionale come sottocapo di stato maggiore a livello di brigata nel Regional Command East della KFOR. Nell’intervista racconta le preziose esperienze che può acquisire durante il suo impiego, le sfide personali e il ritorno sull’investimento che il suo impegno nel promovimento della pace genera per l’Esercito svizzero.
06.04.2023 | Intervista svolta dalla sgt Iris Probst, sostituto ufficiale stampa e informazione del 47° contingente SWISSCOY

Tenente colonnello SMG Giovanni Ciarulli, può presentarsi brevemente?
Molto volentieri: ho 37 anni, sono sposato e ho due figli. Dopo l’apprendistato di cuoco, verso i 25 anni ho iniziato la carriera di ufficiale di professione: era stata la mia aspirazione fin da bambino. Dopo aver conseguito il bachelor in scienze politiche presso l’Accademia militare (ACMIL), ho lavorato in diverse posizioni dirigenziali all’interno della Formazione d’addestramento della logistica e attualmente sono capoclasse presso la scuola ufficiali della logistica 40 di Berna. Una volta terminato il mio impiego nel quadro della KFOR qui presso la SWISSCOY, in autunno potrò assumere la funzione di sostituto comandante / capo di stato maggiore presso il Centro d’istruzione della sussistenza, dove un tempo ho assolto l’istruzione quale sottufficiale. Come militare di milizia sono sempre stato attivo nella fanteria di montagna e dal 2020 sono impiegato come ufficiale di stato maggiore generale nello stato maggiore della divisione territoriale 3. L’anno prossimo avrò anche l’opportunità di assumere la condotta del battaglione di stato maggiore della divisione territoriale 3.
Qual è la sua funzione nell’impiego e qual è il suo campo d’attività?
Qui sono impiegato come Chief TEC nel Tactical Effects Center del Regional Command East (RC-E). Come sottocapo di stato maggiore a livello di brigata, faccio rapporto al comandante del RC-E e impartisco gli ordini a ufficiali e sottufficiali provenienti da diverse Nazioni. La mia funzione va intesa come una sorta di mix tra un G2 (sottocapo di stato maggiore servizio informazioni) e un G3 (sottocapo di stato maggiore operazioni), in quanto sono responsabile di tutti gli effetti e gli impieghi non cinetici. Questi comprendono la condotta degli LMT attraverso il battaglione cinetico, nonché il coordinamento e la realizzazione di progetti, colloqui e accordi civili-militari con diversi gruppi d’interesse (politici, ONG ecc.), volti a raggiungere gli obiettivi della KFOR.
Nel TEC lavorano fino a 15 sottufficiali e ufficiali, suddivisi in quattro diverse cellule: la cellula operativa, la cellula informativa, la cellula di cooperazione civile-militare e la cellula di valutazione. Il mio compito consiste nel condurre queste cellule attraverso quattro subordinati diretti, definire le priorità delle informazioni e dei compiti, assegnare le opportune risorse, sincronizzarle con lo stato maggiore e con il QG KFOR e attuare le famose «4 c»: comandare, controllare, correggere, trarre conseguenze.
Che cosa significa per lei lavorare in un contesto militare internazionale?
Nel TEC – arricchito da cinque diverse nazionalità, da grandi differenze di età e di esperienza e da approcci diversi – regna un clima di lavoro incredibile, che si traduce in un lavoro di stato maggiore preciso. I militari sono in gran parte soldati statunitensi dell’Indiana National Guard con un incredibile bagaglio di esperienze da altre missioni. La vita comunitaria del TEC favorisce notevolmente lo spirito di corpo nello stato maggiore del RC-E.
Spesso mi viene chiesto della barriera linguistica, che può rappresentare una sfida in un contesto internazionale. Sono un tipo aperto e comunicativo e mi piace lanciarmi nelle imprese, anche quando si tratta di lingue. Raramente ho notato barriere linguistiche nel TEC e la comunicazione funziona a meraviglia. In caso di malintesi, finora una tavoletta di cioccolato e la buona vecchia cordialità svizzera mi hanno sempre aiutato a chiarirli.
In qualità di militare dell’Esercito svizzero, come viene percepito nel Regional Command East?
Il lavoro di noi ufficiali svizzeri qui nel RC-E è molto apprezzato. A mio parere, il nostro modo di lavorare preciso, a volte pedante, ma anche il nostro approccio strutturato e analitico sono percepiti molto positivamente. Per quanto mi riguarda però ho anche potuto beneficiare molto della presenza di militari di altre nazionalità, soprattutto per quanto concerne gli americani: sia per il loro modo semplice ma rapido di condurre operazioni e impieghi, sia per le loro abilità tattiche. Dopo sei mesi di impiego, porterò con me in Svizzera e nell’esercito un bagaglio pieno di esperienze nell’ambito della condotta, della gestione del personale e dell’approccio non cinetico. Tutte queste impressioni e competenze continueranno a essermi utili nelle funzioni future e rappresenteranno un valore aggiunto nel campo dell’interoperabilità.
Lavorare per la promozione della pace