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La popolazione protesta contro la missione dell’ONU

L’Esercito svizzero impiega ufficiali di stato maggiore nella missione ONU nella Repubblica Democratica del Congo da 22 anni. La complessità del conflitto e la vastità della zona d’impiego complicano il compito, e questo desta malumori tra la popolazione. Nel giugno 2022 sono state sollevate proteste direttamente rivolte all’infrastruttura e al personale dell’ONU. L’ufficiale di stato maggiore di stanza a Goma ci illustra i suoi compiti e spiega quali ripercussioni hanno avuto le proteste in riferimento al suo impiego.

12.01.2023 | Maggiore Boris Iwanovsky, ufficiale di stato maggiore MONUSCO (Mission de l’Organisation des Nations Unies pour la stabilisation en République démocratique du Congo) a Goma, Repubblica Democratica del Congo

A causa delle grandi distanze e delle cattive condizioni di viabilità, le ricognizioni e le visite alla truppa sono spesso effettuate in elicottero. Nell’immagine il maggiore Boris Iwanovsky sta volando assieme al Force Commander in direzione della base militare a Kiwanja (Kivu settentrionale), situata nel territorio conteso dal gruppo di ribelli M23.
A causa delle grandi distanze e delle cattive condizioni di viabilità, le ricognizioni e le visite alla truppa sono spesso effettuate in elicottero. Nell’immagine il maggiore Boris Iwanovsky sta volando assieme al Force Commander in direzione della base militare a Kiwanja (Kivu settentrionale), situata nel territorio conteso dal gruppo di ribelli M23.

Non esistono crisi che il Congo orientale non abbia già affrontato in passato. Alla colonizzazione belga (1885–1960) hanno fatto seguito diversi periodi di oppressione ad opera di diversi dittatori nonché la prima e la seconda guerra del Congo (rispettivamente negli anni 1996–1997 e 1998–2003) con un bilancio di oltre sei milioni di morti. La guerra e il simultaneo sgretolamento delle istituzioni governative ha dato origine a diversi gruppi armati che sono tuttora attivi con motivazioni diverse. Attualmente nel territorio della missione MONUSCO si contano tra 70 e 90 gruppi di ribelli.

Omicidi, attacchi incendiari, stupri, furti e reclutamento di bambini soldati sono all’ordine del giorno e paralizzano lo sviluppo del Paese. Questi gruppi armati sono in gran parte costituiti in base alla loro appartenenza etnica, mentre altri operano dalla Repubblica Democratica del Congo contro gli Stati confinanti a est, ovvero l’Uganda, il Ruanda e il Burundi. Alcuni agirebbero su incarico di altri Stati. Le motivazioni che stanno alla base spaziano dall’automantenimento alla ribellione politica fino al fanatismo religioso. C’è però un fattore che accomuna la maggioranza di questi gruppi armati: si finanziano attraverso l’estrazione e l’esportazione illegale di minerali come coltan, oro, rame e diamanti che vengono immessi sui mercati globali per vie traverse. Nel mandato MONUSCO la protezione della popolazione civile è quindi definita come obiettivo prioritario. Oltre ai numerosi e ampi programmi civili spetta alle truppe internazionali dell’ONU creare le basi per una stabilizzazione del Paese finalizzata alla sicurezza.

Le truppe dell’ONU sono articolate in quattro brigate di fanteria con un effettivo complessivo di circa 13000 soldati. Attualmente la zona d’impiego è circoscritta alle province del Kivu meridionale e settentrionale e all’Ituri, e si estende su una fascia di territorio larga 500 km e lunga 950 km nel Congo orientale. Le esigenze in fatto di logistica e condotta militare sono enormi. In termini di complessità questa missione di pace multidimensionale non è seconda a nessun’altra missione dell’ONU, e questo si riflette anche sul mio lavoro di ufficiale addetto alla pianificazione. In quanto ufficiale superiore lavoro nel settore Pianificazione e Operazioni. La pianificazione sul piano operativo si distingue sensibilmente dal livello tattico. Generalmente i progetti di cui si occupa il mio team sono a media o a lunga scadenza. Come capoprogetto mi è per esempio stato affidato il cosiddetto «force laydown» di quattro brigate. In riferimento al previsto consolidamento delle forze il piano prevede il trasferimento o la chiusura di basi militari sull’intero territorio della missione, così come lo spostamento di diversi battaglioni su una distanza di centinaia di chilometri. La riorganizzazione è mirata ad offrire alle truppe maggiori possibilità per condurre azioni offensive contro i ribelli, prevenendo al tempo stesso la formazione di un vuoto di sicurezza. La dinamica estremamente complessa richiede una cooperazione approfondita con i più disparati settori della zona d’impiego e del braccio civile della missione.

Le ricognizioni e le visite alla truppa in zone molto discoste di tutti i settori e la stretta collaborazione con gli stakeholder civili mi hanno permesso di ampliare notevolmente la mia rete di contatti. Come ufficiale di milizia vanto ottimi presupposti per far convergere gli elementi militari con quelli civili. Gli effetti del «force laydown» sulla situazione in materia di sicurezza sono molto ampi, per cui l’attenzione del Force Commander di MONUSCO è fortemente focalizzata sul mio lavoro. Armonizzare gli obiettivi operativi dei militari e dello sviluppo rappresenta una delle sfide più difficili con cui sono stato confrontato finora, e richiede al tempo stesso diplomazia e una buona conoscenza della situazione.

Tra le diverse dinamiche del conflitto figurano certamente anche interessi politici. Diversi gruppi e associazioni di interessi si stanno posizionando in vista delle elezioni annunciate per il 2023. All’ONU si rinfaccia di non aver ottenuto risultati soddisfacenti in fatto di sicurezza e, di riflesso, la frustrazione della popolazione si riversa anche direttamente contro le truppe dell’ONU, sovente pilotata da attori dietro le quinte che cercano di ricavare dei vantaggi politici.

A fine luglio dello scorso anno si sono svolte proteste contro le Nazioni Unite in contemporanea in diverse città del Congo orientale. Gli attacchi alle basi ONU sono stati vere e proprie razzie e hanno causato una devastazione delle infrastrutture ONU che la missione non aveva mai conosciuto dalla sua creazione. Purtroppo tra i manifestanti si sono confusi anche elementi armati. Per diversi giorni a Goma sono stati sparati colpi di arma da fuoco e le infrastrutture delle Nazioni Unite sono state prese d’assalto e incendiate. Trentasei persone hanno perso la vita, tra cui quattro peacekeeper. Inoltre le abitazioni private dei collaboratori ONU sono state contrassegnate con il gesso, al fine di saccheggiare la loro proprietà privata. Nelle strade osservatori locali seguivano da vicino e segnalavano ogni movimento. Era chiaro che i disordini in gran parte delle tre province seguivano un copione preciso ed erano coordinati da dietro le scene.

In qualità di «Senior National Representative» (SNR) fungo da tramite tra il comando SWISSINT e i membri svizzeri della missione. Di conseguenza sono responsabile dell’elaborazione di direttive d’azione insieme a loro e, in caso di emergenza, del coordinamento della nostra evacuazione da Goma. Poiché siamo presenti in diverse ubicazioni, sono state necessarie varie pianificazioni previsionali. In questo contesto ho mantenuto contatti quotidiani con il Tactical Operation Center del Centro di competenza SWISSINT. La collaborazione con la Svizzera e con i partner internazionali si è svolta senza intoppi: in brevissimo tempo sono stati aperti i canali con il DFAE e il DDPS ed è stato attivato il Centro di gestione delle crisi a Berna. Dopo diversi giorni, l’esercito congolese ha riportato la situazione sotto controllo: grazie al comportamento corretto dei militari svizzeri e alle misure adottate, è stato possibile evitare l’evacuazione. Per prendere le decisioni giuste in caso di crisi è necessaria una buona rete di contatti e la capacità di elaborare tempestivamente le informazioni. Io e i miei colleghi svizzeri abbiamo potuto attingere a preziose informazioni provenienti dalle Nazioni Unite, da ONG e da fonti locali per aggiornare costantemente il quadro della situazione. Anche i contatti allacciati in precedenza con i nostri partner europei sul posto si sono rivelati decisivi durante questa situazione di crisi.

Tra pochi mesi il mio impiego qui terminerà, ma per la missione ci sono ancora alcune sfide da superare. Per poter attuare il mandato in modo efficace è probabilmente necessario un riorientamento della missione. A tal fine occorre un’accurata valutazione della situazione sul piano civile e soprattutto su quello militare. Un adeguato impiego di risorse, capacità militari complementari e procedure d’impiego più solide sarebbero un primo passo per aumentare l’efficacia delle truppe ONU e fornire maggiore sicurezza alla popolazione della Repubblica Democratica del Congo. Una cosa è chiara: la stabilizzazione del Paese non dipenderà soltanto da una soluzione militare.

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